Simona's Kitchen

Immagino la Riviera Romagnola come una nonna laboriosa che con la sua generosità ed accoglienza è un poco la nonna di tutti.
Quante generazioni di europei del Nord, tedeschi, francesi, svedesi, svizzeri o austriaci negli anni sessanta, settanta e ottanta hanno conosciuto le onde dell’Adriatico come il primo mare mai visto.
I tempi sono cambiati.
Ci avviciniamo al 2017, la tecnologia è sempre più veloce, gli spostamenti sono frenetici, internet ci offre tutto quello che vogliamo a portata di un click.
Viaggiare verso i paradisi tropicali e i meravigliosi mari da cartolina da anni non è più un vezzo o capriccio di persone all’epoca considerate un poco eccentriche, fa tenerezza ricordarlo! Conoscere luoghi distanti ed esotici è diventato quasi comune per molti.
In questo spazio vorrei cercare di raccontare e di mostrare la Romagna nella sua varia e complessa personalità.
Cercheremo di seguirne la programmazione culturale e scoprire insieme le attività che fuggono un poco dai luoghi classici del divertimento in Riviera.
Per citarne qualcuno:
Delfinario di Rimini
Conoscere Ravenna dopo una mattinata di sole oppure salire sul Monte Titano a San Marino dopo aver fatto spese al suggestivo Mercato di Rimini, pedalare con il pedalò abbronzandosi e pedalare con la bici fino alla vicina Cesenatico.
Giovanni Pascoli così descrive la Romagna
Romagna
Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l'azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l'altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l'anatra iridata,
oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l'urlo che lungi si perde
dentro il meridïano ozio dell'aie;
mentre il villano pone dalle spalle
gobbe la ronca e afferra la scodella,
e 'l bue rumina nelle opache stalle
la sua laborïosa lupinella.
Da' borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d'occhi di bambini.
Già m'accoglieva in quelle ore bruciate
sotto l'ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai dì d'estate
co' suoi pennacchi di color di rosa;
e s'abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.
Era il mio nido: dove immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l'imperatore nell'eremitaggio.
E mentre aereo mi poneva in via
con l'ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;
udia tra i fieni allor falciati
de' grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.
E lunghi, e interminati, erano quelli
ch'io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettìo d'uccelli,
riso di donne, strepito di mare.
Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive;
gli altri son poco lungi; in cimitero.
Così più non verrò per la calura
tra que' tuoi polverosi biancospini,
ch'io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini,
Romagna solatìa, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
(G. Pascoli, Romagna, da Myricae, Mondadori, Milano 1943)
